Sostenibilmente in - 1 Ottobre 2024

È ok non sentirsi ok 

Salute mentale al lavoro: dalla prevenzione al supporto

Siamo sedute a un tavolo in un ristorante accogliente, forse un po’ troppo affollato visto quello che accadrà tra poco, ma cerchiamo di non farci caso. Siamo prese dai nostri reciproci racconti di vita quando, tra una portata e l’altra, la conversazione si fa più profonda.

Sara, con il suo caschetto sbarazzino e gli occhi luminosi, è al centro della nostra attenzione.

Chi è Sara?

Sara, è una di quelle persone che catturano lo sguardo quando entrano in una stanza. Alta, con un’eleganza naturale, emana una forza che sembra invincibile. Quando parla muove con grazia le sue dita affusolate e semplicemente ti ipnotizza. È giovane Sara, laureata in materie scientifiche, in ingegneria per essere precisa, e se tutto questo non bastasse, è pure molto simpatica.

Ma Sara soffre, anche, di fibromialgia.

Sara: “Qualche anno fa, quando mi hanno diagnosticato la fibromialgia, ho iniziato a perdere il controllo della mia vita. I dolori fisici erano solo l’inizio. Poi sono arrivati gli attacchi di panico, e con loro la depressione. Ogni giorno era una lotta, eppure, non volevo che nessuno lo sapesse. Ho imparato a nascondere tutto dietro un sorriso. Non avrei mai pensavo che una malattia fisica potesse avere un impatto così devastante sulla mia mente. Avevo paura di tutto. Di uscire, di lavorare, persino di alzarmi dal letto. Una sensazione di nudità.”

Marianna quindi le chiede: “E come facevi a gestire tutto questo? Non dev’essere stato facile.”

“Non lo era,” continua Sara, “e non lo è ancora del tutto. All’inizio cercavo di nasconderlo, soprattutto al lavoro. Dovevo essere forte, dovevo dimostrare a tutti – e a me stessa – che potevo farcela. Ma in realtà non ero più capace di dare valore alle cose belle, mentre le cose brutte diventavano macigni. Ho cominciato a telefonare sempre più frequentemente al mio medico di base, quello che provavo era invalidante. Non potevo pensare di stare con le persone.”

“E poi?” chiedo, con un filo di voce.

Sara sorride: “Poi è arrivato il momento di crollare. È stato inevitabile. Non riuscivo più a fingere. Un giorno, tornando in macchina a casa dal lavoro, volevo lasciare il volante e la vita. Avevo in testa una nuvola, una nuvola sempre più scura di pensieri, frequenti e razionali, di suicidio.”

È stato in questo momento che il ristorante intorno a noi è scomparso.

“Il medico di base non è stato più sufficiente ed ho iniziato a frequentare il Centro di Salute Mentale di Udine in Day hospital” prosegue Sara. “Lì ho trovato persone che mi hanno capita, che mi hanno fatto sentire che non ero sola. Ho iniziato un percorso, un percorso complesso, dove ho incontrato buche più o meno profonde. Ho visto affievolirsi la mia indipendenza e spesso mi sono sentita che potevo cadere da un momento all'altro, come se l'equilibrio fosse costantemente precario.”

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Ti sei mai chiesto se c’è Sara anche sul tuo posto di lavoro? Magari proprio nell’ufficio accanto al tuo?

Ciò che emerge dalla nuova edizione del Mind Health Report di AXA e Ipsos è un incremento negli italiani del disagio psicologico: nel 2023, infatti, ben il 28% ha sperimentato disturbi come ansia o depressione, mentre nel 2022 erano il 22%.

I dati più preoccupanti riguardano la scarsa consapevolezza sul benessere mentale e l'importanza di ricevere supporto da professionisti. A ciò si aggiunge un incremento nell'autodiagnosi e nella gestione autonoma dei disturbi, che possono compromettere il percorso di cura e recupero.

Inoltre, il 51% degli italiani ritiene che le aziende non facciano abbastanza per tutelare la salute mentale dei dipendenti e valuta invece il supporto offerto come un fattore che incide positivamente sulla decisione di rimanere in azienda, soprattutto per i giovani!

È infatti fondamentale che le aziende sviluppino politiche di supporto alla salute mentale, come programmi di assistenza ai dipendenti (EMPLOYEE ASSISTANCE PROGRAM – un esempio di cosa si tratta? Guarda qui) e formazione per i manager, per riconoscere e affrontare questi problemi. Queste condizioni, infatti, non solo riducono la capacità di concentrazione e di lavoro, ma aumentano anche il rischio di burnout, compromettendo ulteriormente il clima aziendale.

Investire nella salute mentale non è solo un dovere etico, ma anche una strategia intelligente: un aumento del benessere mentale dei dipendenti può tradursi in un significativo miglioramento della produttività e nella riduzione dei costi legati all'assenteismo.

Le stime attuali considerano che, per problemi legati alla salute mentale di collaboratori e collaboratrici, le perdite aziendali costino all’Europa 136 miliardi di euro. Cifre che non potranno diminuire se consideriamo che, entro il 2030, la depressione diventerà la principale causa di disabilità nei Paesi ad alto reddito.

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“E come ti senti adesso, Sara?” chiede Marianna, con una dolcezza che mi fa capire quanto le stia a cuore l’amica.

“Ci sono giorni migliori e giorni peggiori,” ammette Sara “Ma ho imparato a capirmi. So quando ho bisogno di fermarmi, so quando chiedere aiuto. Ho capito che non devo dimostrare nulla a nessuno, colleghi e lavoro.”

Sara conclude il suo racconto parlando della sua azienda “Fortunatamente, mi hanno permesso di cambiare ruolo, riducendo le trasferte e offrendomi così una minore esposizione a situazioni di stress. I colleghi hanno imparato a capire i miei no, a riprogrammare le call quando non è il momento giusto, e soprattutto, a riconoscere i segnali se ce n’è bisogno.”

E noi, Marianna ed io, non vogliamo aggiungere altro. Non abbiamo parole, ora non servono. Vi lascio con quelle di Marracash:

“Cerco un equilibrio che mi tiene insieme

Tu mi chiedi perché non mi voglio bene

Da domani lo faccio, mi fai quella faccia

Dovresti sapere

Che io ormai sono bravo a cadere”

Chiara Pontoni

Sustainability Manager Gesteco