È un sabato pomeriggio qualunque, il classico pomeriggio di pulizie domestiche. Fuori piove e le attività che più amo, tipiche del periodo primaverile, sono rimandate. Sto ascoltando l’ultimo podcast di Francesca Romano (EcoLogica). Mi apro una lattina della mia bevanda preferita, poi apro un pacchetto di cracker. Ho terminato il prodotto per la pulizia delle superfici, appena scartato l’ultimo acquisto Amazon. Tolto il cellophane dalla rivista di approfondimento scientifico recuperata dalla cassetta della posta.
Stop. Ferma. 1, 2, 3, 4, 5, 6…
Non posso crederci, in qualche minuto ho riempito il ripiano della cucina di imballaggi, tanti imballaggi, di qualsiasi tipologia e spesso onestamente anche inutili o peggio, monouso.
Ma quanti rifiuti riusciamo a creare in un solo giorno?
E non mi riferisco solo al packaging degli alimenti, ma ad ogni aspetto della nostra routine quotidiana, dalla semplice doccia al banale gesto di scartare una caramella.
Se cercate i numeri, eccoli qui. Prendiamo a riferimento il 2021: la produzione media di rifiuti da imballaggio per individuo è stata di circa 188,7 kg, registrando un incremento di 10,8 kg rispetto all'anno precedente e segnando il maggiore aumento degli ultimi dieci anni! Dal 2011 al 2021 si è evidenziato un aumento di quasi 32 kg. A fine decennio si stima raggiungeremo i 200 kg per persona.
L’Europa non potendo più scappare dal problema, il 24 aprile 2024, con ampia maggioranza, ha approvato il nuovo Regolamento sugli imballaggi. Gli obiettivi? Riduzione degli stessi del 5% entro il 2030, del 10% entro il 2035, del 15% entro il 2040, oltre allo stop alla plastica monouso a partire dal 2030.
Vi sarete accorti infatti, in modo particolare nel mondo del B2C, della ricerca spasmodica, chi per credo, chi per immagine, di nuovo packaging per il proprio prodotto: packaging sostenibile.
E qui nasce l’annosa questione: meglio il packaging in carta che distrugge le foreste o in plastica che inquina gli oceani?
A parte la chiara provocazione, le aziende dovrebbero, al fine di effettuare consapevolmente la scelta del packaging con il miglior profilo ambientale, misurarne in primis l’impatto ecologico. Come? Attraverso un’analisi del ciclo di vita del prodotto, anche nota come Life Cycle Assessment (o LCA).
Fa scuola la Danimarca, le direttive dell'Ombudsman (simile al nostro Antitrust italiano), infatti, obbligano l’utilizzo dell'analisi del ciclo di vita per valutare correttamente la sostenibilità del prodotto ed evitare di etichettare i prodotti o servizi come genericamente “sostenibili", “green”, “eco”, ecc. Questa pratica mira a evitare la diffusione di comunicazioni ambigue, che potrebbero assomigliare più a pubblicità ingannevole.
E se nemmeno LCA risolve i nostri dubbi? Beh, se possiamo evitiamolo proprio il packaging. Come?
Cominciare ad acquistare senza imballaggi può sembrare una vera sfida, un cambiamento radicale delle nostre abitudini: ma non è così! Si può cominciare gradualmente, partendo dai prodotti che si usano più spesso, e piano piano eliminare più imballaggi possibili dalla dispensa. Cercate il negozio sfuso più vicino a voi, magari QUI. E ricordatevi che comprare sfuso aiuta a ridurre i costi e gli sprechi, compri quello che serve, nella giusta quantità, quando ti serve. Una cinquantina d’anni fa, se ci pensate, era il modo più diffuso di acquistare!
Ora torno alle pulizie, per la precisione voglio almeno dividere correttamente tutti gli imballaggi che in pochi minuti ho generato: voglio conferirli nel corretto contenitore della raccolta differenziata. E se ho dubbi? Mi aiuto con Junker!... o con Elio e le Storie Tese! 😉
Chiara Pontoni
Sustainability Manager - Gesteco